Osti versus Ostici Distici

Grazie dell’invio della recensione di Paolo Valesio direi colta e rispettosa. Contribuisce ad allargare la lettura dei distici come dici giustamente “più sui contenuti” rispetto all’analisi che fece Barilli alla presentazione del libro a Bologna. 

Ciò che rilevo è il numero rilevantissimo di distici 1183 (forse troppi per una lettura più agevole) dal momento che i tuoi distici distanti si basano strutturalmente più su «dissonanze» che non sono altro che consonanze più distanti. Lo sforzo che chiedi al lettore è notevolissimo se l’approccio è quello dei contenuti, ma ovviamente la Polipoesia contempla la multiparola che apre a differenti approcci interpretativi. Dopotutto siamo eredi di un secolo di sconvolgimenti linguistici che il tuo libro presuppone ma al tempo stesso contraddice utilizzando una metrica che appartiene al rigore del passato, per questo ho parlato di coincidentia oppositorum, perché oltrepassa l’orizzonte dell’attualità per ancorarsi ad una metrica appunto della tradizione. 

Un libro che mostra le diverse migliaia e migliaia di micro dissonanti connessioni di parole e idee, folgorazioni, che gravitano nella tua mente (la mente dell’autore). In questa prospettiva il numero esorbitante dei distici esprime una sorta di «onnipotenza conoscitiva» da utilizzare almeno per me con parsimonia. 

 Mi piace finire questa breve riflessione (di un artista visivo e non di un poeta) con un tuo distico:

abbordare l’inabbordabile vincere l’invincibile

spaventa lo spaventabile realizza l’irrealizzabile

***

Maurizio, sempre stimolante il tuo discorrere.

La quantità è necessaria in questo caso, già Barilli lo aveva rilevato come la vera differenza tra l’avanguardia del passato e le sperimentazioni dell’oggi, Valesio aggiunge giustamente un elemento nuovo. Se fosse breve il libro diverrebbe un virtuosismo, invece seguendo la strada lunga, vuol dire che ho davvero qualcosa da dire. E qui arriva il contenuto, che è ovviamente filtrato ma c’è. Non solo l’eros, ma anche la filosofia, la scienza o la religione, per esempio a Parma, il relatore di turno, noto ex parlamentare PD, ha citato una serie di distici in chiave politica.

E vengo alla forma, dove la tua coincidentia oppositorum calza a pennello. Consapevolmente uso una forma classica, ma ne prendo la struttura per riempirla a mio modo, questo il contrasto di fondo, gli opposti che si toccano. Tradotto sul tuo terreno significa che la tua perizia nel maneggiare il pennello non ti impedisce di siliconare l’immagine. Infine mi piace molto la tua espressione «onnipotenza conoscitiva». Sotto il suo ombrello metterei tutto, dalla vita allo studio. Considera che questa «onnipotenza conoscitiva» deve sempre passare attraverso le parole, quali parole? A ragione Angelo Guglielmi dice che mai in poesia bisogna ricorrere alla parola “quotidiana”, ma ci vuole appunto una parola “altra” che rifletta però quella onnipotenza. (Lo stesso vale per l’immagine, ecco perché  tu la oscuri con un manto nero o la deformi visivamente col silicone). E allora questo per dire che nei distici c’è un’evidente (per me raffinata) ricerca linguistica e una volta, infine, che ho acquisito un metodo in mano, lo domino, non sento il peso del distico, il limite della forma, io stesso sono il metodo, e a quel punto il mio io esce tutto senza sforzo. (em)