L’incoraggiamento di semplici suoni alle parole
Il volume raccoglie un centinaio di articoli dal lontano 1980 fino all’oggi, pubblicati “con i più diversi pseudonimi, a causa di una innata ritrosia alla prima linea”. Non c’era bisogno di scriverlo, basta dedurlo dall’immagine di sé che dispensa in quarta di copertina dove compare di profilo a figura piena seduto su una bitta, la sua figura nonché i lineamenti fisiognomici si disperdono tra una miriade di barchette sul mare del porto triestino. Per fortuna l’asocialità o l’anti-socialità non ha relazione alcuna sulla qualità della scrittura che si presenta invece in prima linea, bella e solida, a tutto tondo, una scrittura “totale” come a ragione la definisce Gabriele (Perretta) nella postfazione. La totalità consiste nell’abbordare il tema proposto con una girandola di considerazioni, riflessioni a tutto campo provenienti dai più disparati settori dello scibile umano. Se la critica attuale denuncia un crescente malessere di mancata presa sul reale contemporaneo, i resoconti del Nostro, come strali ben indirizzati, aumentano quel disagio, facendoci capire che il linguaggio, per quanto possa essere funambolico, deve sempre avere delle precise referenze, per non smarrirsi nel soliloquio. Un incoraggiamento sonoro verso semplici parole.
La semplicità incoraggia la sonorità delle parole. Come? Anzitutto davanti all’opera da analizzare gli balzano in testa impreviste, fulminanti analogie che galvanizzano il lettore, per esempio argomentando il mondo Kostabi cita Virginia Woolf su Roger Fry, “l’ospite prima di sedersi a cena veniva invitato a condividere il piacere pericoloso di aiutarlo a tradurre Mallarmé in inglese”. Oppure, a chiosa di un dipinto del duo Clegg-Guttmann che riproduce alti dirigenti della Deutsche Bank, richiama di Hans Holbein il Giovane Gli Ambasciatori dipinto nel 1533, la boria, l’autorevolezza, il senso del potere finanziario o politico sono gli stessi. In ogni pezzo tali similitudini fungono da carrucola storiografica che azzerano il tempo, ciò che c’era ieri, torna oggi, senza ricorrere all’innocente «guardare» che poi in definitiva è sempre esistito sin dai tempi delle grotte di Altamira in avanti.