Non sazio, con accanimento e tanto ardore sbarella sfrontato il lessico tra colto e volgare, tra millimetriche precisioni scientifiche ed esilaranti associazioni surreali senza disdegnare il calembour, la freddura o l’aneddotica che con rima coatta appiccica ad estetica.
Mettendo più a fuoco la strumentazione adottata, emerge nitida e superba la paronomasia, vero asse portante di tutto l’apparato testuale, “l’adolescenza è il tempo splendido dell’amorezza, poi quando si invecchia viene il tempo cupo dell’amarezza”. Oppure, “non era l’Evento bensì l’Avvento che gli importava”, ancora, “scivoleremo dal Sufismo al Surfismo?” fino ad un irriverente “ma Pasolini li schiacciava i pisolini?”. Non posso tralasciare l’uso dei puntini di sospensione, caratteristica così distintiva come la parentesi lo era per cummings o Sanguineti. Questo trucco ortografico gli serve come stacco, come allusione, come dire “fate voi, concludete come vi pare…io mi fermo qui”. Quando li adotta anche all’inizio di un periodo o di una storia, allora valgono come sospensione, come straniamento, come cambio di piano.
I nomi, anche se leggermente modificati appaiono tutti veri, in genere appartenenti al mondo “radical-scioch” romano, lo stesso dicasi delle tante verità che vengono snocciolate con la nonchalance tipica dell’inetto, colluso, scoglionato se non deluso: “il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie” via Samuel Johnson, “l’Italia è una cloaca” (e come dargli torto!), “la politicità intesa come vecchio e borioso engagement è certamente defunta” e il doppio sigillo finale con “il superfluo è la quintessenza della presente epochè” e “sulle tenebre del reale vincerà lo splendore del virtuale”.
C’è infine, una ricchissima colonna musicale che attraversa sonoramente il testo, si va da affermazioni condivisibili verso Chuck Berry definito il vero fondatore del rock, a varie citazioni canzonettare come le bollicine di Coca(ina) del Blasco o “il pene è il mio pane” (Elio e le Storie Tese), con menzioni a iosa di band rockettare e cantanti italioti, si passa da Morandi ad Endrigo per finire con Cocciante e Celentano, manca nella lunghissima lista, stranamente, Paolo Conte perché due versi da La topolino amaranto, “Se le lascio sciolta un po’ la briglia / mi sembra un’Aprilia e rivali non ha”, sarebbero stati un avatar linguistico perfetto per questo libro.
Marco Palladini, Nomi veri falsi, Roma, Empiria, 2019.
15 gennaio 2020