Distanti ed ostici rispetti a chi e a che cosa? Rispetto a come un tempo la poesia era vissuta scolasticamente e accademicamente, intendo dire che la poesia era vissuta come lirismo, secondo la vecchia tradizione crociana è poetico solo che ciò che è lirico. Quello che non è lirico, non è poetico, Croce applica questo schema ai grandi della poesia nazionale, a Leopardi compreso. Quindi in questi distici c’è una polemica aperta verso questo tipo di letteratura, c’è polemica o c’è comunque una certa distanza da quello che si ritiene essere il livello cosiddetto alto della letteratura rispetto a quello basso, o più colloquiale, quello del senso comune. Ad un certo punto del libro ci si imbatte nella seguente autodefinizione, io sono, scrive Minarelli, “un officiante goffo che sfrutta letteratura”. Quindi evviva la tradizione, evviva la letteratura ma, come dicevo prima, torcendola, distorcendola, per cui si passa dal “Lung’arno” al “Lungo Po al Lungo Reno”, dal carattere alto si passa, si precipita a quello basso. Addirittura in un distico si pone la domanda autoironica, non sarà che questa antologia di poesia sia tutta uguale? No, rispondo io perché nel libro diviso in ben quattro parti tornano motivi del tutto diversificati.
Cercherò di focalizzare quegli spunti, ce ne sono tanti in questa sua antologia poetica, che ritengo i più importanti. Lui stesso in primisdichiara che queste poesie sono un lavoro sulle parole, d’altra parte, non a caso, una sua recente antologica di poesia visiva si intitolava Il Peso delle Parole. In questi distici lui opera torsioni e distorsioni sulle parole per arrivare ad una stringatezza, Minarelli stesso lo scrive nella postfazione, il che equivale a paragonarli ad aforismi perché tu cerchi di dire delle cose importanti riassumendole in modo concentrato. Allora mi chiedo perché ad un certo punto della lettura del libro incontro la definizione di “distici ostici”. Qui quello che conta come nel titolo, non è il sostantivo ma l’aggettivo, l’aggettivo “distanti” e l’aggettivo “ostici”.
Dicevo prima, linguaggio alto, linguaggio basso, sarebbero troppi gli esempi da fare, lui oscilla tra citazioni dotte di Goethe, Dumas, “la dame aux camélias“ per sterzare col linguaggio anche in maniera pesante, così abbiamo neologismi del tipo “mastroianizza” “sophialorenizza”, insomma c’è evidente sempre questo stato di tensione tra una parte alta e una parte bassa. A proposito della parte bassa, risulta divertente, visto che i libri vengono scritti perché siano letti, che la terza parte venga declinata interamente in modo gastronomico. Fai un continuo riferimento a ciò che avviene cucina, quindi stai facendo, se volessimo scherzare, della gastro-poesia. Infine, prima di concludere, vorrei richiamare la vostra attenzione, quando leggerete il libro, su alcuni ossimori, particolarmente violenti, queste torsioni linguistiche si traducono in affilati ossimori, uno in particolare dice “compromesso nemico e storico” il compromesso induce ad una alleanza e invece qui diviene nemico, quindi il compromesso storico tra nemici. Un altro ossimoro che vorrei segnalare è il seguente, “salvagente deprimente”, il salvagente è un qualcosa che aiuta o meglio che dovrebbe aiutare a salvarsi, ma in quel momento tu dicendo “deprimente” esponi drammaticamente la salvezza alla depressione. Quindi ci si salva, ma c’è un qualcosa di malato in quella salvezza.
Adriano Vignali presentazione Distici Distanti Chourmo Eno Libreria 29 maggio 2019 Parma